Alle 03:50 del 24 febbraio Putin parla 28 minuti in tv, spiega le (sue) ragioni dell'attacco all'Ucraina e rinfaccia all’Occidente di aver assunto "sembianze imperiali". "Sono le regole base della propaganda", ci spiega Paolo Borzacchiello fra i massimi esperti di intelligenza linguistica applicata al business. "Chiama le cose con un altro nome, ben consapevole del fatto che nel farlo ne modifica anche la percezione". È sempre stato così, solo che lo Zar non tiene conto di un particolare importante: "Le regole, che funzionavano ai tempi di Goebbles, oggi sono meno efficaci coi tiktoker che riprendono tutto in diretta".
Sin dall’inizio Putin ha messo in chiaro che chiunque dovesse ostacolarlo subirà "conseguenze mai viste". Anche questa è propaganda? "Mi auguro di sì ma temo che la minaccia sia concreta e ne stiamo già vedendo i primi effetti: basta pensare alla benzina o alle forniture di grano e di gas. Invito a riflettere sul termine 'conseguenze': il primo pensiero, per economia cognitiva, corre sicuramente a concetti come missili e guerra nucleare ma comprende anche scaffali vuoti al supermercato e prezzi della pasta triplicati."
Putin era convinto di sopraffare l’Ucraina in pochi giorni. Ora la guerra potrebbe protrarsi per i mesi. La sua comunicazione è cambiata?
"Nel complesso mi pare piuttosto lineare. Ho notato, tuttavia, nei discorsi dei suoi uomini, un progressivo incremento di parole che potrebbero far pensare a posizioni più miti. Ma, è bene precisarlo, anche questa potrebbe essere propaganda".
Come valuta, invece, la strategia comunicativa di Zelensky?
"Sta piacendo moltissimo all'opinione pubblica ed è tecnicamente perfetta per creare empatia con lo spettatore. Parlo di spettatore nel senso più ampio del termine, visto che noi occidentali, dal divano di casa nostra, assistiamo in diretta a quello che succede. La sua strategia è dunque perfetta: location, look e gestualità, tutto molto coerente. E il suo precedente mestiere si evince con chiarezza".
Oggi, davanti al congresso Usa, Zelensky ha rievocato fantasmi del passato: Pearl Harbor e l'11 settembre. Perché?
"È un'ottima strategia che trascende la razionalità. Le cause del conflitto ucraino sono diverse da quelle che hanno portato all'11 settembre e sono altrettanto evidenti le differenze fra i due eventi. È quasi inutile sottolinearlo. Ma, dal punto di vista narrativo, funziona alla grande. Nominare Pearl Harbor e 11 settembre ha una presa emotiva molto forte su chi ascolta".
Allo stesso modo oggi Putin ha rievocato i pogrom degli ebrei. Sembra quasi che i due discorsi si parlino.
"Certamente. Se lo scopo è suscitare ondate emotive e forte paura, i richiami sono perfetti e la neuroassociazione è chiara. Tuttavia Putin cita tragedie che si ricollegano alla propaganda della 'denazificazione' e portano avanti il concetto di 'non invasione' e per questo l'analogia coi pogrom non regge. In Zelensky, invece, funziona tutto molto meglio".
In foto Putin si mostra sempre lontano da tutti i collaboratori. Cosa vuole comunicare?
"Il messaggio è chiarissimo: Putin vuole comunicare assenza di empatia. È lui, e solo lui, che ha in mano le sorti della guerra. Tutto passa da lui, e deve essere chiaro il concetto: nessuno potrà convincerlo a cambiare idea. Se mai lo farà, sarà per sua volontà. Il dittatore perfetto non è empatico, è distante da tutti”.
Zelensky invece si mostra in mimetica insieme ai ministri…
“Azzerando le distanze di ruolo, lavora sull'empatia: quando esorta l'Europa a mandare aiuti e armi, lo fa dal basso, vestito come chi sta combattendo la battaglia. Questo attiva nel cervello di chi lo guarda e lo ascolta una reazione empatica molto forte. Anche lui è credibile nel suo ruolo. Se questo fosse uno spettacolo teatrale, direi che nella narrazione offerta ai media (che è una versione parziale e ristretta della storia), protagonista e antagonista sono molto ben definiti, in ogni dettaglio".
Come si inserisce l'incubo nucleare in questa dialettica?
"Nucleare è una parola potente. La maggior parte delle persone preferisce fare una TAC rispetto a una Risonanza Magnetica Nucleare, anche se la TAC è decisamente più invasiva. È un termine forte, che attiva reazioni emotive fortissime: il sistema limbico, quando si sente minacciato, attiva una reazione che possiamo riassumere in freeze, flight or fight, paralizzati, fuggi o combatti. Il primo istinto è paralizzarsi, poi casomai scappare, poi casomai combattere. Da questo punto di vista, credo che Putin abbia considerato solo l'effetto 'paralisi' e non quello 'combatti'. Potrebbe ritorcerglisi contro".
La guerra in Ucraina riporta il mondo indietro al secolo scorso. Si torna a respirare un clima da Guerra fredda. E questa passa inevitabilmente anche attraverso la propaganda. Qual è il fine ultimo della disinformazione?
"Cito il dizionario militare utilizzato dalla Nato e ripreso anche in Italia dal 28° reggimento, che si occupa di propaganda e comunicazione: 'Le operazioni psicologiche sono operazioni pianificate per veicolare informazioni ed indicatori selezionati ad un pubblico straniero, per influenzare le loro emozioni, motivazioni, ragionamenti oggettivi e, in ultimo, il comportamento dei governi stranieri, come di organizzazioni, gruppi ed individui'".
Come vanno lette informazioni che quotidianamente arrivano dal fronte mediate dai social?
"Con prudenza. Ricordandosi sempre che, da entrambe le parte, l'informazione è sempre mediata: quali immagini si scelgono, come si raccontano e così via. Pensate alla foto della ragazzina con il lecca lecca e il fucile che ha fatto il giro del mondo: era una foto di scena, scattata da un fotografo professionista a sua figlia che si è messa in posa per una foto artistica. Ha scatenato un putiferio di condivisioni e reazioni di pancia: tutte legittime, perché il concetto che esprime è sacro santo. Ma era una foto artistica".
Come legge le scelte comunicative di Pechino?
"Sono, come sempre, ambivalenti, criptiche, lasciano intendere cose che poi possono casomai essere ritrattate. Sembra che aspettino di vedere da che parte penderà l'ago della bilancia".
Durante i negoziati lo staff di Macron ha divulgato scatti del presidente visibilmente teso, con la barba sfatta e la felpa dei paracadutisti. Che messaggio hanno voluto mandare?
"Suppongo, ma è una mia supposizione, che Macron volesse dare l'idea di un presidente attivo e pronto alla battaglia. Ma il confine fra la credibilità e il ridicolo è spesso molto sottile".
Nei giorni scorsi Kamala Harris si è messa a sghignazzare quando una giornalista le ha chiesto dei profughi ucraini. Solo una gaffe?
"A certi livelli, non dovrebbero esistere certe gaffe. Punto. Anche perché, se ricordate, non è la prima volta che succede. Ridere in certi contesti, come fa anche il nostro ministro degli Esteri che sghignazza mentre si definisce animalista e definisce Putin animale è, semplicemente, inopportuno. E, mi si consenta, offensivo".
Durante la pandemia si è ricorso più volte all'uso di termini militari per descrivere quanto stava accadendo. Adesso, però, che la guerra ce l'abbiamo ai confini dell'Unione europea, quelle parole assumono un altro significato. Come cambia il paradigma della nostra quotidianità?
"Non molto, temo: si tratta di una metafora universale che ha un valore specifico e che produce effetti simili in tutti coloro che la ascoltano. Battaglia, combattere, sconfiggere e così via sono termini metaforici che attivano reazioni di stress e reazioni comportamentali molto forte. Ora, va bene: guai a pensare che tutto vada bene, che tutto andrà bene e altre sciocchezze 'positive' del genere. Serve un po' di pensiero critico, anche solo per, magari, abbassare di un grado il riscaldamento di casa. Piuttosto, rilevo che è stata usata male e a sproposito durante la Pandemia, periodo storico in cui i nostri politici, dal punto di vista anche comunicativo, hanno davvero dato il peggio di sé. Basti pensare che parlare di 'guerra' attiva nel corpo umano la produzione di cortisolo, sostanza che può provocare difficoltà respiratorie e depressione. Cosa che, in Pandemia, si sarebbe anche potuta evitare".