Nei giorni appena successivi all’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, in carica da pochi mesi, tenne un importante discorso per annunciare che il suo governo avrebbe creato un fondo da 100 miliardi di euro da investire della difesa e superato l’obiettivo minimo di impiegare il 2 per cento del proprio PIL nelle spese militari, ribaltando la tradizionale e dimessa prudenza con cui la Germania aveva gestito fino a quel momento la propria politica estera e di difesa. Scholz ottenne estesissime lodi in tutto l’Occidente, e in molti parlarono di una nuova era per la Germania: ora però qualcosa sembra essersi inceppato.
«Sembrava che la Germania avesse finalmente deciso di accettare un ruolo da protagonista nella politica della sicurezza europea», ha scritto di recente il settimanale tedesco Spiegel: «Sei settimane dopo, però, quell’entusiasmo è del tutto evaporato».
In effetti, negli ultimi tempi, il governo di Scholz sembra aver quantomeno rallentato nel suo slancio verso quella che il New York Times aveva definito «una inversione a U nella propria politica estera». Oggi diversi governi e alcune istituzioni europee si dicono insoddisfatte e frustrate nei confronti del governo tedesco e di Scholz, perché il cambiamento annunciato sembra non essersi davvero mai realizzato.