L’Onu si riscatta sull’Ucraina, cacciando la Russia dal Consiglio sui diritti umani. Ma il voto tenuto ieri all’Assemblea generale ha un valore geopolitico ancora più importante, perché rappresenta la prima prova generale dell’alleanza anti Occidente che il Cremlino sta cercando di costruire intorno all’aggressione di Kiev. Per ora ha fallito, ma il numero dei voti contrari e degli astenuti dimostra che le democrazie, e tutti i Paesi civili, si trovano davanti a una sfida molto difficile che minaccia di durare a lungo.
La risoluzione era stata presentata dall’Ucraina e chiedeva di sospendere la Russia dal Consiglio sui diritti umani, l’organismo con 47 membri che ha sede a Ginevra, per le «gravi e sistematiche violazioni e abusi dei diritti umani» commesse durante la guerra. Le stragi dei civili ordinate da Putin sono diventate un orrore innegabile dopo le immagini arrivate da Bucha, Irpin, Dymerka e altre città violentate dalle truppe di Mosca durante il ritiro. La risoluzione richiedeva una maggioranza di due terzi ed è stata approvata con 93 voti favorevoli, 24 contrari e 58 astenuti. La Russia diventa il primo membro permanente del Consiglio di sicurezza sospeso da un organismo dell’Onu, un disonore toccato finora solo alla Libia di Gheddafi. Un paria internazionale, cacciato dal Consiglio che dovrebbe proteggere i diritti umani violati da Putin.
Il testo è stato introdotto dall’ambasciatore ucraino al Palazzo di Vetro, che ha avvertito i colleghi: «Se voterete contro, diventerete complici delle morti dei nostri cittadini». Il rappresentante russo ha risposto che la risoluzione era solo un tentativo di sfruttare politicamente i diritti umani, per imporre la logica colonialista americana e occidentale. Questo è diventato il vero punto della votazione, più ancora dell’efficacia o la funzionalità dell’Onu. Uno alla volta, infatti, gli alleati più stretti di Putin hanno preso la parola, per ripetere l’argomento di Mosca e inquadrare la risoluzione in uno scontro con l’Occidente che cerca di imporre la sua volontà al resto del mondo. Kazakhstan, Venezuela, Corea del Nord, Iran, Siria, Cuba, Cina e Bielorussia hanno annunciato il voto contrario, seguiti poi da Algeria, Bolivia, Burundi, Repubblica centrafricana, Congo, Eritrea, Etiopia, Gabon, Kyrgyzstan, Laos, Mali, Nicaragua, Tajikistan, Uzbekistan, Vietnam e Zimbabwe. L’India ha cercato di tenere il piede in due scarpe e si è astenuta, sapendo però che le astensioni non venivano contate e quindi non servivano a salvare la Russia. Gli europei invece sono rimasti compatti, e anche l’Ungheria di Orban ha votato a favore.