Per centrare l'obiettivo, dopo qualche esitazione, ha indossato mimetica e anfibi per diventare il più «falco» degli europei e riportare, senza esitazioni, l'asse italiano verso gli Stati Uniti dopo le isterie di M5S e Lega. Lo fa correndo il rischio, calcolato, che sullo scivoloso tema degli armamenti avrebbe inevitabilmente cozzato con un interlocutore del quale non può fare a meno, Papa Francesco, e con uno che mal sopporta, il filocinese «Giuseppi» Conte.
All'inizio del conflitto russo-ucraino, il premier si era irritato per non esser stato coinvolto nelle decisioni sulle sanzioni economiche e sul blocco del sistema bancario Swift, discusse dalla presidenza Usa solo con i francesi, i tedeschi e gli inglesi. Uno sgarbo che l'aveva anche portato a fare qualche gaffe, come la mancata video call con il presidente ucraino per risibili motivi di fuso orario, e con Macron, per ancor più ridicoli motivi di connessione telefonica. A quel punto Draghi ha cambiato repentinamente rotta per diventare il più duro leader europeo contro la Russia, promettendo l'invio di armi in Ucraina: l'unico modo, dal suo punto di vista, per farsi sponsorizzare dagli Usa verso la Nato dopo la proroga, giusto di un anno, del mandato al norvegese Jens Stoltenberg.
Tuttavia, nei piani alti degli Stati Maggiori ci si lamenta del nuovo Draghi in versione «Full Metal Jacket» che, peraltro, non ha condiviso con nessun generale italiano di corpo d'armata una scelta così delicata. Ambienti dell'Intelligence fanno peraltro notare che le armi arriveranno attraverso «contractors» senza protocolli e che le provvigioni per gli intermediari saranno pagate con altre armi. Un arsenale che rischia di finire in gruppi paramilitari o terroristici pronti a spargere il caos, soprattutto verso quei Paesi che si sono più esposti durante il conflitto. Ma, tentennamenti a parte, cosa avrebbe potuto fare Draghi? Da Super Mario, più che la mimetica, ci si aspettava un piano strategico d'emergenza sulle ricadute economiche della guerra.