La storia di Rosina, la donna italiana che ispirò il manifesto del femminismo Cronaca

La storia di Rosina, la donna italiana che ispirò il manifesto del femminismo

“We can do it!”. Il manifesto di J. Howard Miller diventato il simbolo del femminismo nasconde, svelandola al tempo stesso, la forza delle donne statunitensi che durante la Seconda guerra mondiale si sono rimboccate le maniche per lavorare nelle fabbriche di armi e di mezzi da combattimento, mentre i loro uomini erano al fronte. È la storia di “Rosie the Riveter”, Rosie la rivettatrice (rivettare vuol dire unire due lamiere con dei giunti, ndr), di tutte le “Rosie”, con tute da meccanico e capelli raccolti in un fazzoletto, con scarponi ai piedi e maschere protettrici sugli occhi. La prima “Rosie” apparve in una canzone, scritta nel 1942 da Redd Evans e John Jacob Loeb e che venne diffusa su tutte le radio l’anno dopo.

Sulla carta il personaggio venne tratteggiato per la prima volta nel 1942, non da Miller, ma dal pittore Norman Rockwell che prese a modella l’allora 19enne Mary Doyle Keefe, morta lo scorso anno all’età di 92 anni. Il ritratto apparve sulla copertina del Saturday Evening Post nel maggio del 1943: una donna muscolosa, in tuta da lavoro, col viso sporco, colta nella pausa pranzo mentre mangia un panino, con i piedi che poggiano sul “Mein Kampf” e sulle gambe il porta pranzo con su scritto “Rosie”.

Il più famoso “We can do it!”, è diventato tale solo negli anni 80. Il poster infatti faceva parte di una serie di manifesti che il comitato coordinatore della produzione di guerra della Westinghouse Company’s aveva commissionato a Miller per motivare le dipendenti durante la guerra a non perdersi d’animo e a lavorare duro. Manifesti che rimasero sempre dentro le fabbriche e che vennero mostrati solamente un paio di settimane nel 1943. Fu solo nel 1982, quando i poster di Miller vennero esposti, che “We ca do it!” divenne il simbolo dell’indipendenza femminile e della lotta per i diritti delle donne.

Tags
we can do itrosinafemminismo