“Omicron causa sintomi lievi in 9 contagiati vaccinati su 10”: si rafforza, grazie agli studi preliminari e ai dati provenienti dal mondo, l’ipotesi che la nuova variante di Sars-CoV-2 possa provocare sintomi più lievi rispetto alle precedenti varianti. Segni che fanno ben sperare, anche se la cautela è d’obbligo. Già prima di Natale il direttore regionale dell’Oms Europa, Hans Kluge, aveva affermato che “sulla base dei primi casi di Omicron segnalati, l’89% dei soggetti ha riportato sintomi comuni: tosse, mal di gola, febbre”. Omicron, più contagiosa di Delta, appare caratterizzata da tempi di incubazione ridotti. E a confermare una sua diversità di sintomatologia giunge anche una prima mappa elaborata sulla base dei casi tracciati a Londra tra ottobre e dicembre. I sintomi più comuni riportati e archiviati dall’app Zoe Covid sono stati: naso che cola, mal di testa, stanchezza con dolori muscolari, starnuti e mal di gola. Rispetto alla versione ‘tradizionale’ del Covid, dunque, mancano segnalazioni legati alla perdita di olfatto e gusto, sintomi ‘spia’ della malattia nelle precedenti ondate.
I sintomi più lievi rischiano di essere confusi con sindromi da raffreddamento, molto comuni nei mesi invernali e diffusi tra i bambini. Gli esperti segnalano comunque che le persone immunodepresse o affette da asma e patologie respiratorie rischiano di arrivare a sviluppare malattie più serie, come la polmonite. Buone notizie sul fronte ospedalizzazioni. Il rischio di ricovero in ospedale a causa dei sintomi della variante Omicron è del 40% più basso rispetto a Delta, secondo i dati di una ricerca condotta in Gran Bretagna da un team dell’Imperial College, guidato dal professor Neil Ferguson. I ricoveri di almeno un giorno sono stati tra il 40% e il 45% inferiori in chi era stato infettato con la variante Omicron, rispetto a chi aveva contratto la Delta.
Dati confortanti per quanto riguarda anche per gli ingressi in pronto soccorso: chi è contagiato da Omicron ha il 15-20% di rischio in meno - rispetto a un positivo per Delta - di doversi rivolgere al triage di un ospedale. Uno studio condotto dal National Institute for Communicable Diseases del governo sudafricano, sotto la direzione di Nicole Walter e Cheryl Cohen ha rivelato che il rischio di ospedalizzazione nei pazienti che hanno contratto Omicron è il 20% di quello osservato nei pazienti che avevano contratto Delta. “Se il rischio di finire in ospedale per Delta fosse stato del 5%, per Omicron sarebbe del 1%. Nonostante lo studio utilizzi controlli storici (Delta è sparita dal Sudafrica adesso) l’analisi è stata fatta dopo aver corretto per età, genere ed anamnesi positiva per aver contratto l’infezione in precedenza”, spiega l’immunologo Guido Silvestri nella sua rubrica Pillole di Ottimismo su Facebook.
Va comunque sottolineato che i sintomi leggeri e di breve durata riguardano i vaccinati con due o tre dosi, anche se la risposta immunitaria è sempre soggettiva. “Purtroppo il vaccino non è democratico, non tutti rispondono allo stesso modo, in alcuni soggetti le difese indotte declinano prima e altri non rispondono proprio. Nonostante nei vaccinati che si infettano la malattia si riveli di solito lieve, una minoranza finisce per avere comunque bisogno di ricovero. La circolazione virale va ridotta, anche perché i non vaccinati - tra cui rientrano anche persone di età in cui il rischio di malattia grave è alto - sono ancora molti”, ha ricordato il professor Massimo Galli all’HuffPost. E a proposito dei No Vax: nell’ultimo report dell’Istituto Superiore di Sanità viene sottolineato che il rischio di ricovero in terapia intensiva per i non immunizzati rispetto a chi ha ricevuto la terza dose è 85 volte maggiore per gli over 80, 12,8 volte maggiore per la fascia 60-79 anni, 6,1 volte maggiore per i 40-59enni.