Pensava di averlo convinto, Mario Draghi. Invece poche ore dopo Vladimir Putin lo ha spiazzato, annunciando che i contratti per le forniture di gas russo in Europa si sarebbero dovuti pagare in rubli. "Quello che ho capito - spiegava il premier ai giornalisti subito dopo la telefonata con il Cremlino - è che la conversione in rubli è un fatto interno alla Federazione russa". Ma forse il presidente russo aveva già preso una decisione, perché giovedì a pranzo ha lanciato la seconda fase della guerra, quella energetica. Se i Paesi europei, o meglio i "paesi ostili" non pagheranno il gas in rubli, allora Mosca si sentirà libera di interrompere gli approvvigionamenti, chiudere i rubinetti insomma. E questo nonostante i contratti in essere prevedano il pagamento solo in euro o dollari.
L'accelerazione di Putin è stata talmente clamorosa da provocare lo sfogo di Draghi, convinto dalla tesi del ricatto: Putin, è la convinzione dell'ex numero 1 della Banca centrale europea, "sta tentando di spaccare il fronte europeo". E forse c'è già riuscito, considerando come la reazione di Berlino sia stata tutto sommato molto quieta, come se sapesse già cosa stava per accadere, a differenza di Palazzo Chigi e in parte pure dell'Eliseo, con il governo francese tra i più duri nel condannare le mosse dello Zar.
L'Italia, insieme alla Spagna, invoca una soluzione comune europea. Ma mentre a Bruxelles i tecnici della Commissione Ue stanno valutando gli aspetti giuridici di questa vicenda, i paesi del Nord (dall'Olanda alla Norvegia, secondo paese europeo produttore di petrolio dopo la Russia) si oppongono. La tentazione è quella già vista in altre crisi, economiche, belliche o umanitarie: ognuno per la propria strada, ognuno a coltivare gli interessi strettamente nazionali. E se la Francia, come detto, "sostiene una linea di estrema fermezza - sottolinea il Giornale - la Germania non sembra particolarmente preoccupata dall'uscita di Putin", sebbene i tedeschi dipendano dai flussi di gas russo ancora più dell'Italia.
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