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L'immunità di gregge è vicina. Ma non vuol dire che il Covid è sconfitto

  • Quasi 47 milioni di over 12 completamente vaccinati. Circa 1,6 milioni immunizzati da pregressa infezione. La variante omicron che attualmente viaggia al ritmo di circa 200 mila contagi giornalieri (guardando solo a quelli realmente tracciati, il che fa supporre che con i “sommersi” la cifra sia notevolmente più alta). Senza ricorrere a statistiche, è facile supporre che a breve quasi la totalità degli italiani risulterà immunizzato, o perché vaccinato o perché infettato, da Covid-19, prima, seconda o terza variante. La domanda sorge, dunque, spontanea: è lecito pensare che questo porti a una immunità di gregge da raggiungere già nei prossimi mesi?

    Matteo Bassetti ne è convinto. “Siamo vicini a un’immunità di gregge ovvero a una protezione dalle forme più gravi della malattia. Ci arriveremo molto probabilmente a primavera”, dice l’infettivologo direttore della clinica malattie infettive dell’ospedale San Martino di Genova, che spiega all’AGI: “Abbiamo circa l′80% di italiani vaccinati e con 250 mila casi al giorno, tra persone vaccinate, che faranno una forma blanda di malattia, e No-Vax, saremo in un mesetto e mezzo all’obiettivo”. Una sicurezza che arriva anche dagli ultimi dati provenienti dalla Gran Bretagna. “Nel Regno Unito il 98% è protetto dalle forme gravi di Covid-19. Questo grazie principalmente alla vaccinazione - spiega Bassetti - basterebbe vedere le tabelle, ma anche a chi è guarito da un primo incontro selvaggio con il virus”. “Non si arriverà all’immunità di gregge nel senso stretto del termine, cioè all’eliminazione della malattia, perché dobbiamo immaginare questa pandemia con l’andamento come le onde di un sasso in uno stagno: quindi con progressiva riduzione e ciclicità basata anche sulle condizioni ambientali.

    Alla luce di questo, tuttavia, se non emergeranno nuove varianti, impegnative e diverse, sicuramente omicron che ha una contagiosità elevatissima, 5 volte la Delta, che l’avvicina a quelle che sono infezioni come morbillo e varicella, farà sì che durante questo inverno, con picco probabilmente a fine gennaio, arriveremo a una quota importante di persone che in qualche modo non sono più suscettibili nel senso stretto del termine”.

    In altre parole, spiega Pregliasco, molte persone arriveranno, vuoi perché immuni per la vaccinazione, vuoi perché infettate, vuoi perché reinfettate dopo la prima ondata, “abbastanza protette al prossimo autunno e inverno”. A quel punto la situazione dovrebbe avvicinarsi a quella delle epidemie influenzali. Il condizionale è d’obbligo, però. Perché, ci dice ancora il virologo, “avremo probabilmente una quantità di casi sempre uguale, con potenziale rischio di malattia, perché anche l’influenza fa i morti normalmente purtroppo. La differenza sarà che avremo una dimensione di sanità pubblica meno rilevante. Tutto questo, naturalmente, salvo l’emergere di nuove varianti e salvo che il vaccino possa avere una prolungata efficacia almeno come risposta, peraltro come sta dimostrando, se non altro rispetto alle forme gravi”.

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