“Una persona che ha un tumore all’intestino non può essere operata a casa, mentre una persona con la polmonite da Covid può essere curata a casa. Bisognava lavorare meglio sulla medicina del territorio, per evitare di togliere spazio alle altre patologie. Molti pazienti sono morti e moriranno nell’assoluto anonimato, solo perché non affette da coronavirus. Sono trascorsi due anni e siamo di nuovo in emergenza: bisognava lavorare su una soluzione”. Luigi Cavanna, presidente del Collegio Italiano Primari Oncologi Medici Ospedalieri, lancia l’accusa, parlando con Huffpost. Due anni fa con l’inizio della pandemia, l’arrivo in ospedale dei pazienti infetti toglieva parte dello spazio a quelli affetti da altre malattie. A pagare il prezzo più alto sono stati i malati con patologie tempo dipendente: tumori, infarti, se diagnosticati per tempo possono più facilmente essere curati. I ritardi e i blocchi imposti al sistema sanitario dalla travolgente ondata virale hanno mietuto numerose vittime.
Succedeva due anni fa, appunto, ma con l’aumento dei contagi dell’ultimo periodo gli ospedali si riempiono di nuovo e di nuovo a pazienti non-Covid viene chiesto di farsi da parte. “Due anni in ambito medico, scientifico e sanitario sono una enormità. In due anni cambiano tantissime conoscenze, merito della ricerca, non solo biomedica, farmacologica e tecnica, ma anche organizzativa, relazionale ecc. Perché dopo 2 anni gli ospedali si stanno nuovamente riempiendo di malati Covid? Perché gli interventi diagnostici e chirurgici anche per i malati oncologici sono ancora ritardati-rimandati?” si chiede in una lettera aperta il professor Cavanna. L’errore più grande, spiega ad Huffpost, è stato compiuto sul territorio: “In questi due anni andava rafforzata la medicina del territorio. A una malattia infettiva, fortemente contagiosa, non può esser data risposta solo con l’ospedale. Bisogna curare a casa, a domicilio e solo se c’è bisogno si ricorre al ricovero. Non esiste solo il Covid, non fa bene parlare solo di questo. È come se le altre patologie fossero dimenticate. Ma gli ospedali erano pieni già prima dello scoppio della pandemia. Dove sono finiti allora i pazienti che occupavano quelle stanze?”.
Dopo due anni l’aspettativa del professore era che sarebbe cambiata la capacità di questa pandemia di mettere in difficoltà il sistema sanitario italiano. Invece la situazione è ancora emergenziale nelle strutture e a pagare sono soprattutto pazienti con malattie tempo dipendenti, come i tumori: “Una diagnosi precoce può voler dire guarigione, una tardiva può essere una condanna a morte”. Cavanna sottolinea che sono in commercio farmaci per bocca per le cure precoci a domicilio del Covid, dunque “si sviluppino protocolli diagnostico/terapeutici su base scientifica per le cure domiciliari e si raccolgano i dati e si faccia ricerca. La cura precoce domiciliare deve prevedere un approccio multidisciplinare tra medici del territorio, medici specialisti ospedalieri, medici delle unità speciali di continuità assistenziale. L’obiettivo deve essere quello di ridurre i ricoveri e lasciare liberi gli ospedali per pazienti non Covid”.
Una raccomandazione anche sui vaccini: non vengano dirottati i medici degli ospedali negli hub vaccinali, sottratti ad attività fondamentali come la diagnostica con conseguente impatto molto negativo sui tempi di diagnosi: “Si chiamino medici pensionati, si dia l’incarico a medici militari”. La carenza di personale, dirottato nei reparti Covid, diventa un problema: “L’oncologia è tra le branche più trasversali. Abbiamo bisogno del gastroenterologo, del pneumologo, del radiologo, del cardiologo, del chirurgo… Se più reparti vengono convertiti in Covid per accogliere più pazienti, se più personale viene investito su quel fronte, l’attività oncologica si riduce”. L’allarme è stato lanciato anche dalla Società italiana di chirurgia (Sic) per la drammatica riduzione degli interventi che nelle regioni vanno dal 50 all′80%: spesso non è possibile operare neanche i pazienti con tumore perché non si ha la disponibilità del posto di terapia intensiva nel postoperatorio. “Le aziende sanitarie sono costrette a destinare ampi spazi di ricovero ai pazienti Covid e le terapie intensive sono in gran parte occupate da pazienti principalmente no vax”, spiega la Sic, “si assiste all’aggravamento delle patologie tumorali che spesso arrivano tardi in ospedale ormai inoperabili”. I posti letto di chirurgia sono dimezzati, le terapie intensive riconvertite per i pazienti Covid, infermieri e anestesisti delle sale operatorie trasferiti ai reparti Covid.
“Mentre a marzo 2020 si è assistito e si è accettato che una buona parte degli ospedali pubblici e privati del nostro Paese fosse riconvertita per le cure esclusive di malati Covid, con sospensione o fortissima riduzione delle attività diagnostiche e di interventi chirurgici per molti pazienti, diventa ora molto difficile accettare che tutto questo si stia ripetendo dopo quasi due anni di pandemia” dice Cavanna. Blocco degli screening, ritardi diagnostici, ritardi per interventi chirurgici: gli effetti sul futuro saranno pesanti. “Troveremo la malattia più avanzata nei pazienti, in alcuni casi non più operabile, meno guaribile. A causa della pandemia rischiamo di perdere i traguardi raggiunti in dieci anni”.