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Addio a Monica Vitti, icona assoluta del cinema italiano del '900

E' morta Monica Vitti. La notizia è stata data dal compagno dell'attrice, Roberto Russo. Nata Maria Luisa Ceciarelli a Roma, il 3 novembre del 1931, aveva compiuto da qualche mese 90 anni. Attrice icona del cinema italiano, era assente dalle scene dal 2001, quando per l'ultima sua apparizione ufficiale fu ricevuta al Quirinale per i David di Donatello. Musa di Michelangelo Antonioni, regina della commedia all'italiana al fianco di Alberto Sordi.

L'attrice era affetta da una malattia neuro degenerativa simile all'Alzheimer, che l'ha isolata da tutti, protetta dal marito Roberto Russo. E proprio lui, che ha sempre combattuto le false notizie su di lei che popolavano la rete, ha dovuto dare oggi la triste notizia.

Memorabile il suo sodalizio con Michelangelo Antonioni negli Anni 60,  spettacolare la sua intesa con Alberto Sordi nel cuore della migliore stagione della commedia italiana. Monica era l'incarnazione vivente dell'epoca d'oro del cinema italiano: bifronte come le grandi attrici: volto, voce, carisma che nessun'altra ha saputo ripetere.

Cresciuta in Sicilia prima della guerra a causa del lavoro del padre (ispettore al commercio), innamorata della recitazione fin dall'adolescenza (quando metteva in scena spettacolini casalinghi per distrarre i fratelli dagli orrori delle bombe negli ultimi anni di guerra), si era diploma nel 1953 all'Accademia d'arte drammatica sotto la guida di Silvio d'Amico e con un maestro-sodale d'eccezione come Sergio Tofano.

C'erano già tutti i segni della sua duttilità d'interprete: il primo la spinse in palcoscenico per affrontare grandi ruoli drammatici (Shakespeare, Moliére, "La nemica" di Nicodemi con cui conquista il pubblico), il secondo la portò a liberare la sua verve istrionica nella riuscita serie di commedie ispirate al personaggio del Signor Bonaventura, allora popolarissimo eroe dei fumetti.

Scelse un nome d'arte con cui rimpiazzare il nomignolo di "Setti vistini" con cui la chiamavano amici e familiari per la sua capacità di cambiarsi in fretta e furia come un personaggio di Fregoli. Un cognome che le ricordasse la madre amatissima (Adele Vittiglia) e un nome che le "suonasse bene" e non andasse ancora di moda. Il debutto al cinema nel '55 con un piccolo ruolo nell'"Adriana Lecouvreur" di Guido Salvini a fianco di mostri sacri come Valentina Cortese, Gabriele Ferzetti e Memo Benassi, ma 5 anni dopo si incarna nella silenziosa musa di Antonioni per il primo dei quattro film che vanno sotto il segno dell'"incomunicabilità": "L'avventura". Nei successivi quattro anni diventerà una diva internazionale grazie a titoli indimenticabili come "La notte", "L'eclisse", "Deserto rosso", ma l'incontro con Antonioni data già dal 1957 quando presta la voce a Dorian Gray ne "Il grido".

Tutti i grandi registi internazionali la vogliono anche perché oltre a un volto bellissimo e misterioso sfoggia una voce roca e pastosa che (proprio come Claudia Cardinale negli stessi anni) afferma una diversità dalla scuola tradizionale di dizione. Negli stessi Anni 60 si è cimentata più volte con la tv ed ha avuto un riconoscimento speciale con la partecipazione alla tormentata giuria del festival di Cannes del 1968 quando si dimette dal suo ruolo in solidarietà ai contestatori della Nouvelle Vague.

E' in questo momento che decide di dare un taglio alla sua immagine più consolidata e abbraccia l'idea della commedia grazie a Mario Monicelli che la vuole protagonista de "La ragazza con la pistola". Il successo è popolare. Monica Vitti ha dominato nel cinema italiano degli Anni 70, permettendosi stravaganze di qualità (come nei ruoli cuciti sul suo fascino da Miklos Jacsò, Luis Bunuel, André Cayatte), lavorando coi grandi italiani (da Dino Risi a Ettore Scola, da Monicelli al Luigi Magni de "La Tosca"), affiancando Antonioni nella sperimentazione elettronica de "Il mistero di Oberwald"), trionfando in coppia con Alberto Sordi (specie grazie a "Polvere di stelle" diretto da Albertone), spingendo al debutto dietro la macchina da presa prima Carlo Di Palma (il grande direttore della fotografia che è diventato il suo compagno) e poi il fotografo Roberto Russo che con lei debutta da regista con "Flirt" che le fa vincere il premio come migliore attrice a Berlino nel 1983.

Il Leone d'oro alla carriera, che nel 1995 le venne dato da Gillo Pontecorvo alla Mostra di Venezia, è uno dei maggiori riconoscimenti internazionali ricevuti, insieme ai 5 David, 12 Globi d'oro e i 3 Nastri d'argento guadagnati in patria. Ha conquistato anche le platee televisive insieme a Mina ("Milleluci" nel '74 e "Domenica in" vent'anni dopo), scritto due libri autobiografici, firmato la sua unica regia ("Scandalo segreto") nel 1990, portato in teatro la grande commedia americana da "La strana coppia" a "Prima pagina". All'alba del nuovo secolo il vulcano si spegne, quasi inavvertitamente e solo la dedizione del marito Roberto Russo la protegge dalla curiosità morbosa dei paparazzi.

Così oggi la possiamo vedere e ricordare, immortale, nella pienezza della sua arte e della sua vitalità : con quella risata calda, di gola, senza affettazione, che estrarrebbe dal cilindro vedendo le mille celebrazioni, mostre, omaggi a lei dedicati ancora nei mesi della fine del 2021in occasione dei suoi 90 anni